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Chiarimenti sul pubblico impiego a tempo determinato


Come è possibile instaurare un rapporto a tempo determinato alle dipendenze della pubblica amministrazione? Un rapporto di questo genere è prorogabile e per quanto tempo?Quali sono le tutele per i lavoratori? È possibile la conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato? Che funzione hanno le graduatorie?

Per dare risposta a queste domande, occorre una breve ma esaustiva ricognizione della normativa del lavoro a tempo determinato alle dipendenze della pubblica amministrazione, la quale, pur articolata in varie disposizioni mutate nel tempo, si è mossa costantemente lungo una direttrice di fondo segnata dall'esigenza costituzionale di conformità al canone espresso dall'art. 97 Cost., che prescrive che agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

Essendosi sempre dovuta confrontare con questo principio, la disciplina del lavoro a tempo determinato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, pur in un quadro di tendenziale unitarietà, è risultata connotata da questo elemento differenziale rispetto a quella del lavoro privato dove non vige un simmetrico principio di accesso all'impiego privato stabile mediante procedura di concorso.

Entrando nel merito della disciplina, già il D. Lgs. 29 marzo 1993, n. 29, art. 36, comma 4, nel testo modificato dal D. Lgs. 23 dicembre 1993, n. 546, art. 17 - in occasione della c.d. prima privatizzazione del lavoro pubblico - pur in un contesto di radicale riforma tendente ad avvicinare la disciplina di quest'ultimo a quella del lavoro privato, non di meno dettava una regola molto rigida, ponendo il divieto alle amministrazioni pubbliche di costituire rapporti di lavoro a tempo determinato per prestazioni superiori a tre mesi, salve disposizioni speciali per settori particolari (come quello del personale della scuola), e stabilendo che le assunzioni effettuate in violazione di tale divieto erano nulle di pieno diritto ed inoltre determinavano responsabilità personali, patrimoniali e disciplinari a carico di chi le aveva disposte. Questa normativa nulla diceva, però, circa un'eventuale conversione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato, né in senso negativo né in senso positivo.

Successivamente, il D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 22, comma 8, - in occasione della c.d. seconda privatizzazione del pubblico impiego - aveva per la prima volta disposto espressamente che “la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione”, contestualmente eliminando il divieto di costituzione di rapporti per un termine superiore a tre mesi. D'altra parte, prevedeva che il lavoratore interessato avesse diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative, sarebbe a dire per essere stato egli illegittimamente impiegato a tempo determinato. Ed aggiungeva, come effetto collaterale in chiave sanzionatoria, che le amministrazioni avevano l'obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione fosse dovuta a dolo o colpa grave.

Analoga disciplina si rinviene, oggi, nel D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 36; normativa, questa, che ha avuto varie formulazioni - essendo stata sostituita dapprima dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 3, comma 79, e poi dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 49 - ma che è rimasta invariata nei due aspetti fondamentali che si ritrovavano già nel citato D. Lgs. n. 80 del 1998, art. 22: da una parte conferma che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori ad opera delle pubbliche amministrazioni non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni; d'altra parte, ribadisce che il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative.

Fuori dalle suddette norme, dettate con esplicito riferimento alla P.A., i rapporti di lavoro a tempo determinato sono oggetto di specifica normativa, anch'essa soggetta a successive modifiche. Il contratto di lavoro a tempo determinato per lungo tempo è stato disciplinato dal D. Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, recante norme per l'attuazione della direttiva comunitaria n. 1999/70/CE relativa all'Accordo quadro del 19 marzo 1999 sul lavoro a tempo determinato sottoscritto dalle organizzazioni intercategoriali a carattere generale. Tale decreto è stato recentemente abrogato dal D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 (c.d. Jobs Act), emanato in attuazione della Legge 10 dicembre 2014, n. 183. Tuttavia la nuova disciplina del lavoro a tempo determinato, dettata dagli artt. 19-29 del Jobs Act, ricalca, per molti versi, quella del D. Lgs. n. 368 del 2001, risultante dalle modifiche ed integrazioni apportate dalla Legge 16 maggio 2014, n. 78.

La regolamentazione del contratto a termine, attualmente contenuta nel Jobs Act, è pacificamente applicabile, oltre che al lavoro privato, anche al lavoro pubblico, salva la necessaria integrazione con le già citate norme proprie della P.A., dovendosi fare applicazione del principio secondo il quale dalla violazione dei limiti di legge, diversamente dal settore privato, non può farsi derivare la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, secondo la lettera dell'art. 36, comma 2, d. lgs. n. 165 del 2001.

Pertanto, può in primo luogo affermarsi che la disciplina che regola, oggi, i rapporti di lavoro a tempo determinato alle dipendenze della P.A. è quella del Jobs Act (D. Lgs. n. 81/2015), come integrata e limitata dal Testo Unico sul pubblico impiego (D. Lgs. n. 165/2001).

Ciò premesso e ricordato che il limite di tre mesi è assente ormai da vent’anni essendo stato eliminato dal D. Lgs. n. 80/1998, deve affermarsi che anche per i rapporti di lavoro a tempo determinato alle dipendenze della P.A. “al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a trentasei mesi” (D. Lgs. 81/2015, art. 19) e che “il termine del contratto a tempo determinato può essere prorogato, con il consenso del lavoratore, solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a trentasei mesi, e, comunque, per un massimo di cinque volte nell'arco di trentasei mesi a prescindere dal numero dei contratti” (D. Lgs. n. 81/2015, art. 21).

Da quanto precede appare lecito concludere che, in linea teorica, anche i contratti di lavoro a tempo determinato presso la P.A. possono essere legittimamente prorogati fino a cinque volte, ferma restando la diversa conseguenza sanzionatoria in caso di violazione, su cui si dirà.

Tuttavia, occorre anche valutare un altro aspetto e cioè che nel pubblico impiego il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato non è libero, bensì subordinato alla reale esistenza di “comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale” (D. Lgs. n. 165/2001, art. 36), configurandosi quale forma residuale rispetto all'assunzione a tempo indeterminato. Inoltre, lo stesso art. 36 D. Lgs. n. 165/2001 precisa che al fine di evitare abusi nell'utilizzo del lavoro flessibile, le pubbliche amministrazioni non possono ricorrere all'utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie per periodi di servizio superiori al triennio nell'arco dell’ultimo quinquennio.

Ribadendo che la disciplina del Jobs Act trova una limitazione nelle disposizioni dettate per il pubblico impiego, per sua espressa previsione (“Resta fermo quanto disposto dall'art. 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001”: D. Lgs. n. 81/2015, art. 29), da ciò consegue che non può trovare applicazione la misura sanzionatoria della conversione del rapporto in tempo indeterminato nel caso di violazione delle norme da parte del datore di lavoro. Così, se nel campo privatistico la violazione della disciplina sulla proroga, l’illegittima apposizione del termine o la continuazione del rapporto dopo la sua scadenza sono tutte fattispecie cui consegue la conversione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato, nel pubblico impiego “il lavoratore interessato ha diritto solamente al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative (D. Lgs. n. 165/2001, art. 36).

Un ultimo aspetto che merita di essere sottolineato è quello riguardante le graduatorie e le aspettative dei vincitori e degli idonei. A tal proposito è stato definitivamente chiarito che la graduatoria a tempo determinato può essere utilizzata esclusivamente per l’assunzione dei vincitori della medesima procedura, rimanendo precluso lo scorrimento per gli idonei. In particolare, tale assunto è stato espresso in maniera netta sia dalla circolare n. 5/2013 del Dipartimento funzione pubblica, che dal Parere del Ministero dell’Interno del 28/03/2014, laddove si legge che “pur mancando una disposizione di natura transitoria nel decreto-legge, per ovvie ragioni di tutela delle posizioni dei vincitori di concorso a tempo determinato, le relative graduatorie vigenti possono essere utilizzate solo a favore di tali vincitori, rimanendo precluso lo scorrimento per gli idonei” (cfr. circolare n. 5/2013 Dipartimento funzione pubblica). Ancora, tale circolare ricorda che le P.A., qualora vogliano assumere personale a tempo determinato devono preferibilmente fare uso delle graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato, proprie o di altre P.A., come espressamente previsto dal D. Lgs. n. 165/2001, art. 36.

In definitiva, premesso e richiamato quanto precede, ai quesiti iniziali possono essere date le seguenti risposte:

a) Oggi i rapporti di lavoro a tempo determinato alle dipendenze della P.A. sono disciplinati dal Jobs Act, con i correttivi e le limitazioni previste dal Testo Unico sul pubblico impiego;

b) Il limite temporale è, oggi, fissato in 36 mesi, come previsto dal Jobs Act, ed è prorogabile fino a cinque volte;

c) Per instaurare un rapporto di lavoro a tempo determinato, la P.A. deve motivare circa la sussistenza delle “comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale”, altrimenti configurandosi un’ipotesi di illegittima apposizione del termine;

d) La violazione delle norme imperative (violazione della disciplina sulla proroga, illegittima apposizione del termine o continuazione del rapporto dopo la sua scadenza) non può condurre alla conversione del rapporto di lavoro in tempo indeterminato, ma giustifica unicamente una richiesta di risarcimento danni;

e) Eventuali richieste di risarcimento dei danni da parte dei lavoratori appaiono, in ogni caso, difficilmente fruttuose, sia perché potrebbero essere subordinate alla dichiarazione d'illiceità del rapporto di lavoro e sia perché la quantificazione del danno risarcibile è legata principalmente alla dimostrazione della perdita di altre chances lavorative a causa del rapporto di lavoro illecitamente instaurato; in tal senso la Cassazione a sezioni unite ha affermato che “...si può soprattutto ipotizzare una perdita di chance nel senso che, se la pubblica amministrazione avesse operato legittimamente emanando un bando di concorso per il posto, il lavoratore, che si duole dell’illegittimo ricorso al contratto a termine, avrebbe potuto parteciparvi e risultarne vincitore. Le energie lavorative del dipendente sarebbero state liberate verso altri impieghi possibili ed in ipotesi verso un impiego alternativo a tempo indeterminato. Il lavoratore che subisce l’illegittima apposizione del termine o, più in particolare, l'abuso della successione di contratti a termine rimane confinato in una situazione di precarizzazione e perde la chance di conseguire, con percorso alternativo, l'assunzione mediante concorso nel pubblico impiego o la costituzione di un ordinario rapporto di lavoro privatistico a tempo indeterminato. L'evenienza ordinaria è la perdita di chance risarcibile come danno patrimoniale nella misura in cui l'illegittimo (soprattutto se prolungato) impiego a termine abbia fatto perdere al lavoratore altre occasioni di lavoro stabile...” (cfr. Cass. Civ. SS.UU. n. 5072/2016);

f) Appare, invece, indiscutibile che gli unici legittimati ad essere assunti con rapporto di lavoro a tempo determinato alle dipendenze di una P.A. sono i vincitori di concorso, mentre nessuna pretesa possono avanzare eventuali altri soggetti pur validamente inseriti in graduatoria in quanto risultati idonei, dal momento che la graduatoria non è soggetta a scorrimento; ne consegue che, qualora la P.A. dovesse continuare a necessitare prestazioni lavorative a tempo determinato, potrebbe solamente prorogare il rapporto di lavoro con i soggetti già assunti, entro i limiti temporali previsti dal Jobs Act, ovvero far ricorso ad altre graduatorie eventualmente vigenti presso la stessa o altre P.A. per concorsi pubblici a tempo indeterminato o indire un nuovo concorso per l'assunzione a tempo determinato; senza mancare di considerare, però, che in quest'ultimo caso la P.A. dovrebbe motivare circa la necessità di bandire un nuovo concorso anziché continuare a dare seguito ad una graduatoria già formata ed in corso di validità.

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