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Registrare le sentenze costa...la metà


Si sa, le cause si possono vincere o perdere, ma chi non ha avuto molte esperienze con la giustizia forse non sa che, comunque vada, la sentenza deve essere registrata presso l'Agenzia delle Entrate. Attenzione, non si tratta di una facoltà, ma di un automatismo legislativo: la sentenza (anche non definitiva) verrà inviata all'Agenzia delle Entrate che provvederà alla relativa registrazione ed a richiedere il pagamento dell'imposta di registro (tramite notifica di avviso di liquidazione) a tutte le parti in causa, a prescindere che siano state soccombenti o vittoriose nella causa decisa dalla sentenza da registrare: vige, infatti, in questa materia il principio della solidarietà passiva di tutti i contribuenti, con la conseguenza per cui l'Agenzia può decidere di soddisfarsi per l'intero anche sul soggetto che ha vinto la causa civile, il quale avrà poi diritto di rivalsa sulla parte soccombente.

Il particolare, il D.P.R. n. 131/1986 (Testo Unico sull'imposta di registro), all'art. 37 prevede che "Gli atti dell'autorità giudiziaria in materia di controversie civili, che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere, sono soggetti all'imposta anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili", mentre al successivo art. 54 dispone che per gli atti giudiziari il pagamento dell'imposta deve essere effettuato, entro sessanta giorni, "dalle parti in causa" e che se ciò non avviene "l'ufficio del registro notifica apposito avviso di liquidazione al soggetto o ad uno dei soggetti obbligati al pagamento dell'imposta, con invito ad effettuare entro il termine di sessanta giorni il pagamento dell'imposta". Quindi, l'allegato allo stesso D.P.R., denominato "Tariffa Parte I - Atti soggetti a registrazione in termine fisso" provvede a stabilire, appunto, la tariffa relativa ad ogni tipologia di atto soggetto a registrazione e, per ciò che qui interessa, l'art. 8 si occupa degli atti giudiziari.

Venendo al caso di specie, deciso dalla Commissione Tributaria Provinciale di Enna con sentenza del 24.01.2018 e riguardante l'imposta di registro relativa ad una sentenza civile di condanna al risarcimento dei danni conseguenti ad un sinistro stradale, occorre considerare che l'art. 8, lett. b) "tariffa parte I" allegata al D.P.R. 131/1986 stabilisce per le sentenze "recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura" un'imposta pari al 3% dell'importo della condanna. Orbene, quella che appare una normativa del tutto chiara, ha dato luogo ad un contrasto di non poco conto, tutto basato sull'interpretazione dell'art. 21 dello stesso D.P.R., secondo cui "1. Se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto. 2. Se le disposizioni contenute nell'atto derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l'imposta si applica come se l'atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa".

Nella fattispecie in esame, la sentenza di condanna oggetto di registrazione d'ufficio da parte dell'Agenzia delle Entrate aveva condannato i soggetti riconosciuti responsabili del sinistro stradale (ciascuno per la propria percentuale di colpa) a risarcire i danneggiati per un'importo complessivo prossimo al milione di euro ed aveva, contestualmente, condannato le rispettive compagnie assicurative dei responsabili a "tenerli indenni" dalle richieste dei danneggiati (c.d. condanna in manleva). Sennonché, una volta registrata d'ufficio tale sentenza, con successivo avviso di liquidazione l'Agenzia delle Entrate provvedeva a richiedere in solido a tutte le parti in causa il pagamento di una somma di circa € 60.000,00, derivante dalla doppia applicazione della suddetta aliquota del 3% per ciascuna voce di condanna: cioè una prima volta alla condanna principale dei responsabili nei confronti dei danneggiati ed una seconda volta alla condanna (di pari importo) delle Assicurazioni a tenere indenni i propri assicurati. Come facilmente intuibile, si tratta di un metodo di calcolo che poggia su di una interpretazione estremamente formalistica del dettato normativo, per cui ciascuna voce condannatoria (a qualsiasi titolo) sarebbe autonomamente assoggettabile ad imposta, con l'ovvia lievitazione del carico erariale per i contribuenti, debitori in solido (basti considerare che nel caso in esame si era verificato un vero e proprio raddoppiamento dell'imposta, con un aggravio di quasi € 30.000,00).

Come accennato, la questione (non banale né dal punto di vista economico, né da quello giuridico) verte tutta sull'interpretazione dell'art. 21 del T.U., e cioè sulla necessità di considerare autonome, ovvero necessariamente dipendenti l'una dall'altra, la condanna principale e la condanna in manleva. Su questo argomento, curiosamente, non si rinvengono molte pronunce giurisprudenziali ed, anzi, le uniche di una certa autorevolezza sono state pronunciate entrambe dalla Corte di Cassazione, sez. tributaria, molto tempo addietro, ma a distanza di appena un mese l'una dall'altra: si tratta della n. 10789 del 07.06.2004 e della n. 12571 del 08.07.2004. Nulla di strano se non fosse che, nonostante la loro vicinanza temporale e la comunanza delle premesse, tali pronunce sembrano essere del tutto antitetiche ed inconciliabili, dal momento che pervengono a conclusioni del tutto opposte. Ragion per cui si comprende bene che nel processo tributario in esame i contribuenti, da una parte, e l'Agenzia resistente dall'altra, hanno citato ciascuno la sentenza rafforzativa della propria tesi.

Tuttavia, all'esito del processo l'adita Commissione Tributaria Provinciale ha deciso di valorizzare le argomentazioni dei contribuenti, i quali avevano evidenziato:

  1. innanzitutto, che le due sentenze di legittimità erano state pronunciate dalla stessa sezione tributaria (l’unica di Cassazione), ma quella citata dai ricorrenti (del 08.07.2004) è successiva di giusto un mese rispetto a quella indicata dall'Ag. delle Entrate (del 07.06.2004), talché già questa circostanza doveva far propendere per l’evidente e palese “correzione del tiro” (o, più propriamente, vero e proprio revirement) della Suprema Corte;

  2. in secondo luogo, che sono corrette e condivisibili le premesse della sent. n. 10789 del 07.06.2004, laddove è affermato che “...per ritenere necessariamente connesse e derivanti più disposizioni contenute nello stesso atto [ai fini di cui all'art. 21, co. 2 del D.P.R. n. 131/1986: n.d.r.], occorre che non si possa concepire l’esistenza dell’una se si prescinde dall'altra...”, e che “...con il termine “disposizione” la norma … nella diversa ipotesi di provvedimento giudiziario non può che far riferimento alle molteplici statuizioni che possono in esso confluire, restando escluso, nell'uno come nell'altro caso, che il riferimento possa intendersi fatto alle singole obbligazioni che nell'atto trovino la loro fonte unitaria...”; cioè, la Cassazione afferma a chiare lettere, correttamente e senza possibilità di dubbio alcuno, che la valutazione di connessione e dipendenza richiesta dall'art. 21 in esame deve essere svolta con esclusivo riferimento alle statuizioni della sentenza e non alle singole obbligazioni;

  3. ancora, che la stessa sent. n. 10789 del 07.06.2004 correttamente censurava la decisione del giudice di primo grado evidenziando che l’errore nel quale era incorso stava proprio nell'aver appuntato “...la sua attenzione tutta sul versante delle obbligazioni...” mentre “...avrebbe dovuto chiedersi se le statuizioni di condanna [e non le obbligazioni: n.d.r.] contenute nella sentenza oggetto di registrazione … potessero ritenersi tali da derivare necessariamente, per loro intrinseca natura, le une dalle altre...”;

  4. che, corrette tali premesse, la sentenza in esame (la n. 10789 del 07.06.2004, valorizzata dall'Ag. delle Entrate resistente) incappa in un evidente cortocircuito che la fa cadere in un’insanabile contraddizione interna; ciò emerge chiaramente laddove afferma che le statuizioni della sentenza di merito cassata avrebbero “...titolo e funzione diversa...”, spingendosi a specificare che “...titolo della prima condanna [principale: n.d.r.] … è invero la legge, e più precisamente gli art. 2043 e ss. c.c...”, mentre “...titolo della seconda condanna [di manleva: n.d.r.] … è il contratto [di assicurazione: n.d.r.]...”, e giungendo alla conclusione che “...le due statuizioni non possono ritenersi necessariamente derivanti l’una dall'altra … bensì connesse in maniera soltanto occasionale...”; come risulta palese, queste conclusioni cadono proprio nella stessa censura mossa dalla stessa Corte al giudice di primo grado (v. punto 3), poiché finiscono per parametrare la valutazione di connessione e dipendenza richiesta dall'art. 21 alle obbligazioni e non alle statuizioni di condanna: ed infatti, la legge (nell'un caso) ed il contratto (nell'altro) sono titoli e fonti non già delle statuizioni di condanna, bensì delle obbligazioni (!!!), così come “...connesse in maniera soltanto occasionale...” (cioè per volere delle parti) sono tali due obbligazioni fra loro ma certamente non le statuizioni (di condanna e di manleva) contenute in una stessa sentenza, che invece sono “necessariamente derivanti l’una (quella di manleva) dall'altra (quella di condanna principale)” e non si potrebbe nemmeno teoricamente “concepire l’esistenza dell’una (quella di manleva) se si prescinde dall'altra (quella di condanna principale)”;

  5. che, del suddetto evidenziato cortocircuito interno la successiva sent. n. 12571 del 08.07.2004 (citata dai contribuenti) non solo sembra essersi accorta, ma è del tutto evidente la sua volontà di porvi rimedio; in tal senso, dopo aver chiaramente ed inequivocabilmente affermato che “...fra le statuizioni sui diritti di regresso e quelle impositive del debito risarcitorio nei confronti dei responsabili del danno e dei rispettivi assicuratori della responsabilità civile, contenute nella medesima sentenza, deve, infatti, ritenersi sussistente il rapporto di derivazione necessaria...”, specifica che tale principio “...non si fonda, come ritenuto dalla Commissione tributaria, sul rilievo dell’unicità dell’obbligazione di risarcimento del danno … rilievo erroneo in quanto diversi sono i titoli [titolo dell’obbligazione e non della statuizione: n.d.r.] per i quali i condebitori risultano (e possono essere) condannati al pagamento [la critica mossa al giudice di primo grado è la medesima, cioè essersi erroneamente concentrato sulle obbligazioni e sul loro titolo, piuttosto che sulle statuizioni: n.d.r.], ma sull'intrinseca conformazione strutturale plurisoggettiva che in concreto ha assunto il debito risarcitorio...” e conclude in maniera ineccepibile che “...deve, pertanto, ritenersi integrato il peculiare vincolo previsto nella disposizione normativa in argomento, di riflesso ricorrente fra le statuizioni [e non già fra le obbligazioni, che possono avere fonte diversa: n.d.r.] impositive della prestazione dovuta al danneggiato e le statuizioni sul regresso, contenute nella medesima pronuncia...”.

Sulla base di queste argomentazioni, nel processo tributario in esame, i contribuenti hanno sottolineato che nella seconda decisione della Corte di Cassazione (la n. n. 12571 del 08.07.2004) le corrette premesse della precedente sentenza n. 10789 del 07.06.2004 (e cioè che nella “...ipotesi di provvedimento giudiziario...” il termine “disposizione” di cui all'art. 21 D.P.R. 131/1986 deve essere esclusivamente riferito “...alle molteplici statuizioni che possono in esso confluire, restando escluso, nell'uno come nell'altro caso, che il riferimento possa intendersi fatto alle singole obbligazioni...”) trovavano finalmente sbocco in una conclusione logica e non contraddittoria e cioè che appunto “...il peculiare vincolo previsto nella disposizione normativa in argomento...” deve essere valutato “...in concreto...” e deve sussistere non già fra le diverse obbligazioni (che possono avere diverso titolo e fonte), ma fra “fra le statuizioni”, sarebbe a dire fra le varie voci di condanna.

La Commissione Tributaria Provinciale di Enna, con la sentenza in commento, ha condiviso il ragionamento dei contribuenti ricorrenti, ritenendo ed affermando che fra la statuizione di condanna principale al risarcimento del danno e quella di manleva esiste un concreto e necessario rapporto di derivazione, non avendo alcun senso (né logico, né tantomeno giuridico) la condanna “a tenere indenne” senza la precedente ed preliminare condanna risarcitoria principale. In conseguenza di tale decisione, l'imposta di registro oggetto di impugnazione deve, dunque, essere dimezzata rispetto all'importo calcolato inizialmente dall'Agenzia delle Entrate, ed il coefficiente del 3% deve essere applicato una sola volta ed alla sola condanna principale.


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